martedì 12 maggio 2020

STEP#13-NELL'INGEGNERIA

Le macchine e la Seconda Legge della Termodinamica
Un giovane ufficiale francese medita sulle ragioni della sconfitta francese nelle guerre napoleoniche e si concentra su un aspetto che, come ingegnere, gli sembra particolarmente importante: il ritardo tecnologico rispetto alla rivale Inghilterra sul fronte più avanzato della ricerca, quello delle macchine a vapore. Congedatosi dall'esercito, espone i risultati delle sue indagini in un libro rivolto anche ai non specialisti della materia, le Réflexions sur la puissance motrice du feu, apparse nel 1824 e subito dimenticate. Fino a quando la loro riscoperta non segnò l'inizio della termodinamica moderna.
Il genio di Sadi Carnot (1796-1832) fu quello di tutti i grandi teorici: vedere, dietro la mole ingombrante di pistoni e caldaie e le nuvole di vapore, le forme semplici ed essenziali delle relazioni fra grandezze fisiche. Grazie a queste intuizioni, Carnot riuscì a comprendere il principio di funzionamento di ogni possibile macchina termica, cioè di qualsiasi dispositivo capace di sfruttare la differenza di temperatura fra due corpi per ricavare energia utile. Che si tratti di una locomotiva, di una centrale nucleare o di una cellula, qualunque sistema si basi su una differenza di temperatura obbedisce alla legge scoperta da Carnot. Che è, naturalmente, la Seconda Legge.

Immaginiamo una macchina molto semplice. Un cilindro, chiuso da un pistone mobile, che contiene una certa quantità di gas. Scaldando il gas mediante il calore Q prelevato da una caldaia lo si fa espandere; il gas spinge contro il pistone e gli permette di compiere un certo lavoro su un albero motore, trasferendo all'albero una certa quantità di energia.
Se ci fermiamo qui, il nostro motore è inservibile. Funziona una volta sola, fa compiere alle ruote un mezzo giro, e poi si ferma. Se vogliamo continuare ad usarlo, dobbiamo riportare il pistone verso l'interno del cilindro, comprimendo il gas fino al volume di partenza e ricominciando il ciclo.
Ma la compressione del gas non può avvenire "a caldo", o consumerebbe tutta l'energia ricavata dalla prima parte del ciclo. Prima di comprimere il gas bisogna raffreddarlo, permettendogli di cedere un calore Q' a un refrigeratore.
Questa semplice analisi mostra già l'essenziale: per far funzionare un motore non basta una caldaia, serve anche un refrigeratore. Ed è inevitabile sprecare, come calore Q', una parte dell'energia Q prelevata dalla caldaia. Quell'energia non potrà più essere recuperata. Si trova ora nel refrigeratore, che è "freddo": se lo mettessi a contatto con la caldaia, che è "calda", non potrei costringere Q' a tornare in quest'ultima. Finirei invece per sprecare dell'altra energia.

La Seconda Legge afferma che questo spreco è inevitabile e dunque irreversibile. Nessun dispositivo può prelevare energia da un serbatoio e convertirla interamente in lavoro utile. La macchina si intromette nel normale flusso di calore dalla caldaia al refrigeratore e lo usa per girare, come un mulino usa l'acqua di un fiume che corre a valle. Ma alla fine l'acqua deve scorrere verso il basso e fermarsi. L'energia può essere usata soltanto a patto di sprecarne una certa parte. Per lo più una parte considerevole. (Carnot dimostrò un teorema che fissa il limite minimo dell'energia che va sprecata in particolari circostanze.)


fonte: https://archivioscienze.scuola.zanichelli.it/fisicamente/2009/11/29/entropia-3-la-macchina-a-vapore/

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